Dietro a Instagram






Lo shock ci colpisce come una sberla in piena faccia.

Abbiamo appena attraversato un ponticello pedonale che passa sopra al canale di scolo delle acque reflue delle concerie.
La situazione che stavamo vivendo era già intensa prima di varcare questa porta e salire le scale, non sapevamo se volevamo proseguire, ma non so come, siamo stati catapultati in questo angolo della città tanto famoso quanto controverso.
Per strada una decina di venditori ci gridava in quattro lingue di andare con loro per visitare la famosa "Tannery Chouara". Un forte odore riempiva l'aria calda del quartiere, dove la lavorazione delle pelli avviene in vari caseggiati. 
Sotto il sole rovente del primo pomeriggio abbiamo avuto appena il tempo di sbirciare dentro al canale, con l'acqua grigia e i residui della lavorazione che sembravano stracci bagnati buttati in ogni dove, quando l'insistenza delle persone del posto ci ha spinti ad avvicinarci a questo ponte, e per evitare il sole e le loro grida ci troviamo davanti ad una scala in pietra.
Qui un uomo molto pacato ci offre dei rametti di menta fresca che Maury accetta immediatamente capendo che servono per sopportare l'odore all'interno. Io con la telecamera in mano sono troppo presa da questo brulicare di gente che ci passa di fianco e da cose che non ho mai visto in vita mia.
L'uomo ci fa cenno di entrare, ci dice che possiamo visitare le concerie, sul muro c'è scritto Chouara: senza nemmeno saperlo siamo all'entrata delle concerie simbolo della città di Fes, una delle foto più instagrammate del Marocco.
Mi interessa vedere il posto, ho visto anch'io questa foto con mille vasche colorate fotografate dall'alto, forse da alcuni balconi ai piani superiori, ma al momento noi ci troviamo addirittura sotto al piano terra. 
Maury col rametto di menta infilato nel naso, mi avvisa che l'odore è già insopportabile ma io sono curiosa e seguo il gentile signore che ci fa strada su per queste scale ripide, buie e bagnate, schivando alcune cataste di pelli che stanno conciando.
Quello che troviamo al piano terra è la prima parte della lavorazione, e noi ci siamo proprio dentro.

La prima impressione, inutile dirlo, è violenta.
Il suolo è fatto di molte vasche, piene di liquidi, alcune sono al chiuso e l'odore ristagna ulteriormente, noi dobbiamo camminare tra l’una e l'altra, su uno stretto muretto che le divide. Tutto intorno a noi è bagnato, il suolo, le pareti, le migliaia pelli accatastate tra una vasca e l'altra che formano dei muri, ma soprattutto gli operai.
Qui vediamo decine di uomini al lavoro, hanno tutti pantaloni arrotolati fino alle cosce e le gambe ricoperte di fanghiglia; anche le braccia sono sporche di qualche residuo o tintura.
Lavorano senza sosta di fianco alle vasche, prendono le pesanti pelli e le bagnano in questi contenitori che sono pieni di acqua e pigmenti colorati naturali, ma altri sono colmi di calce ed escrementi di piccione, ricchi in ammoniaca che serve ad ammorbidire la pelle.
Per fare meno fatica alcuni entrano nelle vasche e restano in ammollo dalla vita in giù per ore, pestandole coi piedi, similmente alla pigiatura dell’uva.
Potete solo immaginare la sensazione di disagio che proviamo, nel vedere questa gente lavorare in condizioni precarie e dover anche scansare noi turisti in visita, che ritraiamo schifati braccia e gambe per evitare le goccioline che volano.
Proseguiamo velocemente ma la situazione appena fuori di qui non è migliore.
Ci troviamo esattamente nel punto più fotografato della città ma non siamo in alto protetti dai balconi ad ammirare il puzzle di sfumature delle vasche di colorazione ricavate nell'argilla e nel calcare!
…noi ci stiamo camminando in mezzo, guidati da quest'uomo che ci fa saltare da una vasca all'altra, dove tutto è umido e scivoloso, le protezioni inesistenti, sia per noi come per i lavoratori, che continuano a trasportare in spalla le pelli di vari animali tra uno stadio e l'altro della lavorazione.
Saltello tra il vuoto di alcune tinozze e continuo a riprendere senza guardare, perché devo vedere dove appoggio i piedi...
A questo punto arriviamo alla parte opposta della conceria e dietro l'angolo entriamo in un altro ambiente più chiuso, dove ci viene spiegato che prosegue la lavorazione delle pelli di capra, pecora e altri animali selvatici e l'odore diventa davvero insopportabile.
Maury si ferma quasi preso dai conati e decidiamo di uscire.
Basta così, credo che abbiamo visto fin troppo.
Una volta fuori dalla conceria ci allontaniamo di qualche isolato per prendere aria ed elaboriamo cosa abbiamo appena vissuto.
Quello che abbiamo visto è la verità, una storia di fatica, puzza e persone che lavorano duro dietro alla mera foto delle famose vasche colorate.

Noi sui balconi instagrammabili non ci siamo andati.
Ma preferiamo così.
 

Commenti

  1. Sempre bellissimi articoli … brava

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  2. Conoscevo solo in parte questa realtà, grazie per averla descritta totalmente, immagino quella povera gente che lavora lì per pochi soldi, purtroppo al mondo ci sono molte di queste realtà e sarebbe anche ora che sparissero.

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  3. Deve essere stato "pesante" 😁😘❤️

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