Siamo stati 1 mese fuori dalla Turchia.
È stato un mese intenso, difficile, poliedrico, nel quale nuove culture e strane tradizioni si sono intrecciate con momenti pericolosi e modi di fare odiosi delle persone.
Armenia e Georgia sono stati un periodo per testare i nostri limiti, nel quale abbiamo capito che un Paese non si può giudicare solo per la bellezza di paesaggi, o per i suoi monumenti.
Per quanto alcuni posti ed alcune tradizioni ci abbiano colpito positivamente, purtroppo la quantità di eventi negativi accaduti non ci permette di farne un quadro positivo.
Attenzione, non è un giudizio assoluto, è solo la nostra esperienza, che per fortuna è isolata.
Molti altri viaggiatori si sono trovati benissimo ed hanno avuto scambi ed arricchimenti culturali, invece noi abbiamo solo avuto qualche presa per il culo.
L'Armenia in realtà ci è piaciuta, abbiamo imparato molto, sulla cultura, sulle differenze sociali, su quello che è stata per loro l'uscita dall'ex unione sovietica, abbiamo conosciuto persone solari ed ospitali, abbiamo imparato anche a riconoscere le lettere di questa strana scrittura, ma già da subito alcuni problemi, indipendenti dalle persone, ci hanno impedito di godercela appieno.
Invece la Georgia ci ha lasciato l'amaro in bocca per come la gente si è comportata.
Pertanto, già coi nostri problemi, più il lavoro da fare coi video accumulati, e le esperienze giornaliere che non ci lasciavano nulla di positivo, si è consolidato un mood negativo che non mi ha lasciato tempo, né forze, né la voglia di scrivere articoli giornalieri.
Oggi abbiamo addirittura aspettato di passare il confine e di essere su suolo turco, per farne un riepilogo certo, avendo ancora il timore che potesse succedere qualcosa negli ultimi 12 km che ci separavano dalla frontiera.
Adesso siamo di nuovo in Turchia, Paese che sentiamo molto più a nostra misura, e a misura del nostro camper.
Sono contenta di vedere Maury di nuovo rilassato alla guida, e non in costante tensione, con la paura fissa che stia per succedere qualcosa, senza le imprecazioni frequenti per colpa dei sorpassi azzardati che ci costringevano a sterzare a destra, senza il tempo di verificare se ci fossero altri pericoli, come mucche, maiali, a volte strada franata o enormi buche.
Per colpa del modo di guidare di questa popolazione, non abbiamo avuto la voglia e la forza necessaria per affrontare tragitti per visitare molti posti, e nonostante mi dispiaccia, capisco che non è bello passare tante ore al volante in questa condizione, quindi ora capisco che abbiamo fatto bene ad uscire per la strada più breve, anche se ci siamo persi qualche bel posto o bella esperienza.
Non ce le saremmo comunque godute appieno.
Detto questo, stiamo costeggiando il mar nero, in questa parte nord della Turchia che è una nuova scoperta.
La strada ci presenta il mare alla nostra destra, che poi nero non è, anzi, in alcuni punti ha delle belle sfumature verde azzurro, anche se il cielo è grigio.
Oggi questo mare è preso d'assalto dai locali, tutti ammollo per rinfrescarsi da questa afa opprimente che sta facendo sudare anche me, cosa alquanto rara.
Sulla sinistra abbiamo delle montagne verdissime e ripide, che lasciano lo spazio solo per la strada che stiamo percorrendo, ogni tanto compare qualche casa, ma i paesi sono pochi e non hanno quasi nulla da offrire in termini di monumenti o arte o storia.
Sono zone in cui è sviluppata la pesca, e si nota dalle casette di pescatori che di quando in quando appaiono lungo le piccole baie, oppure commercio internazionale via mare, essendo il mar nero un importante polo di scambi tra est ed ovest.
La prima cittadina dove ci fermiamo è Rize, che ha un grande parcheggio vicino al molo e molte palazzine dall'altro lato della strada.
Qui nel parcheggio c'è un monumento al cay, ovvero una tazza di te' alta 30 metri, che scopriamo essere un edificio visitabile, perciò per 40 lire a testa entriamo e prendiamo l'ascensore che ci porta al rooftop, dove si va per guardare la città dall'alto.
All'interno ogni piano ha una mostra di foto legate al territorio, alle stagioni e al te'.
Foto molto belle ma indugiamo qui soprattutto per l'aria condizionata, comunque di sedersi per bere o comprare te' non c'è possibilità e il giro si risolve in una mezz'ora.
Il caldo fuori sembra ancora più opprimente, si suda e si rischia lo svenimento, perciò in questi casi una soluzione può essere guidare, ed è cosi' che proseguiamo la guida tutto il pomeriggio finché troviamo qualche grado meno nelle montagne dietro a Trebisonda.
Qui si susseguono negozi del pane tipico della zona, diverso dall'ekmek tradizionale, più sodo e rotondo, anche più grande, tanto che viene venduto a pezzi.
Diciamo che assomiglia vagamente ad un nostro pugliese.
Ne compriamo un pezzo e compriamo anche della frutta e verdura da un banco all'aperto, mentre sta piovigginando.
Nonostante il tempo mi sento felice, finalmente qui c'è qualche grado meno e ringrazio di aver preso questa strada, inoltre sto comunicando in turco col venditore, cosa che non ho potuto fare nelle ultime settimane, e mi sento galvanizzata dal potergli dire merhaba, domates, bir kilo...
Lui mi riempie un sacchetto di pomodori e poi chiede: biber? Patlicanli? Così io posso fargli segno di no perché peperoni e melanzane non mi servono.
Tecekkur!
Ringraziamo e ripartiamo.
Ci sentiamo quasi a casa.
Troviamo dove dormire qualche chilometro più su, dove la temperatura è scesa a 24 gradi, in un ristorante/campeggio trovato su park4night.
Ben accolti e sistemati in un giardino, lontani dalla statale e con l'acqua delle piscine per le trote che ci rilassa immediatamente, decidiamo di cenare con la specialità della zona, per ovvi motivi mai vista al sud, ovvero il Kuymak, un piatto di farina di mais cotta col formaggio, una bomba calorica filante più di una fonduta, che può assomigliare a una nostra polenta concia.
Per dessert il risoelatte tipico di tanti Paesi, che qui si chiama Sutlac e viene decorato con cannella o nocciole e venduto ad ogni angolo di strada.
Come primo giorno di ritorno in Turchia siamo soddisfatti.
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