Zagora



Ore 19:00, inizia ad imbrunire, l’aria è ancora calda oltre i 30 gradi, molto secca, in questa zona del Marocco l’evaporazione è immediata.
Mi sono appena lavata nelle docce comuni, i muri erano di fango e paglia, ricoperti in un angolo con le piastrelle verdi tipiche di Tamegroute, paesino che tra l’altro abbiamo visitato stamattina.
Il soffitto era scrostato e rischiavano di cadere alcuni pezzi di calce, e l’acqua era più fredda dello shampoo.

Cammino verso il camper, avvolta in un asciugamano con le mie infradito viola attraversando un parcheggio sabbioso.

Forse 20 metri, non c’è nessun altro, il silenzio è totale, e quando arrivo ho già i capelli asciutti.

La zona di Zagora è uno dei deserti più famosi del Marocco, qui arrivano centinaia di tour al giorno che partono da Marrakech, anche se in questa stagione non c’è quasi nessun turista.

Ma noi ci siamo spinti più a sud, nel paesino dove la strada asfaltata finisce e le tue scelte per proseguire restano quad o dromedari.

Come dicevo, qui si arriva con tour organizzati, difficilmente arrivano viaggiatori fai da te e solitari, per questo guardando google si vedono centinaia di bivacchi organizzati in mezzo alle dune di sabbia, dove le guide ti portano a prendere il te e a passare la notte per cifre da capogiro.

La gente qui è di passaggio solo per poche ore.

Per il forte caldo diurno sarebbe indispensabile un’aria condizionata, o perlomeno stare all’ombra, e magari a piedi è anche possibile trovare un albero, ma con il camper proprio non si sa dove mettersi.

È per questo motivo che abbiamo scelto di stare in un campeggio ed evitare la libera.

Il posto in cui siamo è classificato come quasi di lusso, avendo addirittura la piscina, e noi siamo parcheggiati sotto ad un enorme eucalipto, da soli in questo spiazzo antistante la struttura, che all’interno ospita anche un ristorante e alcune camere dislocate tra palme e oleandri.

Ci hanno gentilmente posizionato un grande tappeto davanti alla scaletta del camper, lo raggiungo, la porta è già aperta da prima della doccia, tanto non c’è nessuno in giro.

Mi siedo qui fuori contemplando la luce che cambia e sento il muezzin che inizia a cantare l’adhan, la chiamata alla preghiera, che qui stranamente è molto più melodica che negli altri paesi.

Non ho scritto molto negli ultimi giorni perché non abbiamo fatto altro che guidare e pianificare, perché tra uno stop e l’altro non ci fossero troppi chilometri sotto il sole rovente e per far sì di trovare soste con almeno un albero a ripararci.

D’altra parte qualcosa da raccontare c’è sempre, anche se guidi nel nulla e pensi che sia tutto uguale.

La strada che da Guelmim porta qui a H’Midi è nel pieno del deserto al confine sud con l’Algeria, i paesi sono rari, piccoli, la gente assale i pochi turisti con urla e mani tese attendendo quasi obbligatoriamente di ricevere soldi, se trovi un albero in città dove sostare un attimo ed evitare lo svenimento dei 43 gradi fissi, c’è sempre qualche “vedetta del paese” che si avvicina e ti guarda male, quasi gli stessi rubando qualcosa.

Capite bene che in questa situazione siamo arrivati con meno fermate possibili.

Adesso dovremmo fermarci una notte per avere il tempo di fare un piccolo giro sulle dune domani, ma i piani qui si cambiano in fretta, adesso andiamo a fare due chiacchiere con una simpatica coppia italiana appena conosciuta, che vuole cucinare per noi un ragù e pasta fresca fatta a mano… potremmo mai rifiutare?! 

E domani…si vedrà!







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